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Channel: Orecchie d'asinio
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Le tessere della passione

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professionisti della predica si svegliano presto la domenica. Io però ho la fortuna di non dovere raggiungere fisicamente il mio pulpito e sfrutto il teletrasporto della mia tastiera per dire anche oggi la mia su tante cose che attraversano la mia mente di teatino, a volte così lontana e – proprio per questo – a volte così vicina alle cose che sostano nell’anima e nell’animo di questa Città.

Eppure il primo pensiero va a quello che ho visto ieri in televisione. Gli stadi semivuoti. Certo non erano proprio di cartello gli incontri di anticipo della Serie A, ma riuscire a vedere chiaramente il colore dei seggiolini di ogni settore di San Siro mentre in campo c’è una delle squadre più titolate e pagate del mondo mi ha lasciato quella sensazione mista tra amarezza e soddisfazione che ha chi pensa di aver avuto sempre ragione. Perché quella società ha regalato 220mila tessere del tifoso, ha spogliatoi nei quali al posto delle panche ci sono magnifici sedili anatomici in pelle mentre decine e decine di telecamere ne scrutano ogni punto e sono pronte prima a riprendere prima della partita ogni smorfia del viso di ogni calciatore ancora in mutande, poi le azioni di gioco in modo perfetto da ogni angolo. Commentatori che commentano di tutto e infine computer capaci di calcolare all’istante le distanze e le velocità della palla controllando la posizione dei rispettivi schieramenti istante dopo istante. Ma l’ultima cosa da controllare non c’è oppure è lontana e, al posto di avere in mano una bandiera o una sciarpa, ha il telecomando. Al posto dell’urlo in gola, ha la bocca piena di pizza o popcorn come farebbe al cinema. Nei peggiori cinema.

«Anche la speme fugge i sepolcri» scriveva Ugo Foscolo nel suo celebre poema in endecasillabi. Oggi invece a fuggire dagli stadi è il pubblico ed è la passione. Ho pensato spesso a questa parola nelle scorse settimane. Non è solo colpa delle sciagurate vicende legate alla tessera, né il frutto di autoesaltazione (“la nostra passione contro la disinformazione”), ma anche la suggestione di un film che ho visto in un cinema ancora più deserto di San Siro ieri sera. I protagonisti sono alla ricerca di un’omicida che cambia continuamente lavoro e casa, insomma è imprendibile. Gli unici indizi sono lettere da lui spedite alla madre, piene di citazioni che non hanno senso apparente. Ma improvvisamente, seduto in un caffè di Buenos Aires, uno dei due ha un’intuizione. La sua riflessione è lapalissiana: che cosa accumuna chiunque? Che cosa non ci lascia mai e non cambiamo mai? «Perché vengo qui secondo te? – chiede Sandoval a Benjamin, tenendo in mano il suo amato bicchiere – Perché mi appassiona». Ma per continuare il suo ragionamento si alza e raggiunge un signore che beve qualcosa al banco. È un notaio, ma la sua passione è il calcio e sa citare a memoria nomi e soprannomi dei calciatori, risultati e classifiche di ogni tipo. Un Gianni Brera un po’ tanguero, una via di mezzo tra un annuario e l’album Panini. Tenendo le lettere in mano, Sandoval gliene legge alcuni passi. Quelle circostanze e quei paragoni dal senso oscuro e quei nomi rivelano improvvisamente il loro vero significato: hanno tutti un’origine calcistica e parlano della squadra del Racing. «Questo tipo – conclude Sandoval guardando negli occhi il suo amico – può cambiare tutto: casa, affetti, famiglia, fidanzata, religione, dio… ma c’è una cosa che non può cambiare Benjamin: è la sua passione». Ed è nella curva del Racing che troveranno chi cercano.

Ci ho ripensato anche stamattina leggendo l’ultimo post di Paradiso che ha citato Francesco De Gregori e mi è venuta in mente “Il bandito e il campione”, ballata nel quale si racconta della vita criminale del bandito Sante Pollastri, anche lui imprendibile in sella alla sua bicicletta. La sua unica passione era andare a vedere l’arrivo delle corse ciclistiche dove partecipava il suo compagno d’infanzia, Costante Girardengo, vincitore di due Giri d’Italia e di ben nove campionati italiani. E fu proprio all’arrivo di una tappa del Tour De France a Parigi nel 1927 che la Gendarmerie riuscì a prendere Pollastri e mettergli quelle manette che “brillavano al sole come due biciclette”. «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» diceva Blaise Pascal, filosofo, matematico inventore della teoria delle probabilità e teorico del divertimento nel XVII secolo. Da grande esploratore dei numeri e delle passioni umane aveva capito che è con le ultime che si fanno i primi. È con le grandi platee spinte dalla passione che si fanno i soldi. Di più: grazie ai loro campioni ci hanno fatto diventare banditi e ci hanno schedato sfruttando la nostra passione. Lo sanno bene quelli della pay tv: per fare breccia tra i loro clienti ci vuole un bouquet nel quale il più bel fiore è il calcio. Ce ne fanno sentire la fragranza, ma il profumo dei soldi è tutto loro. Sia chiaro: il peccato non è questo. Il peccato è darci già tutti per arruolati tra le fila dei tele-spettatori e contemporaneamente tutti criminali potenziali. È la logica degli stati totalitari che vedono in ogni manifestazione di dissenso una macchia pericolosa per l’artificiale candore del lenzuolo che tengono steso al loro balcone agli occhi di investitori e analisti di borsa. A ben vedere, è la logica con la quale l’URAR ti scrive a casa lettere di minaccia quando non hai pagato il canone TV, anche se di radio e televisori a casa tua non ce n’è traccia. Forse la mia colpa è non aver speso soldi, il non essermi fornito di strumenti che mi rendono informato, ma anche formabile.

In questo calcio professionistico non è più lecito sentire, ma solo pensare o, meglio, ridurre tutto alla dimensione del denaro al quale l’ordine perfetto è funzionale. E la tessera deve ancora mostrare la sua vera faccia, ma vedrete che presto sarà lo strumento con il quale pagare i biglietti allo stadio o prenotarli on line, comprare il merchandising e magari acquistare la partita in tv. Ci regaleranno anche qualcosa o – meglio – ci daranno la sensazione di averci regalato qualcosa. In realtà sono i famosi meccanismi di fidelizzazione che sono già al lavoro come già accade per la tessera del supermercato o del carburante. Non mi sono illuso neppure per un attimo che la tessera serva a eliminare la violenza, anzi la realtà ha mostrato il suo lato paradossale in Salernitana-Paganese facendo diventare due tifoserie quantomeno indifferenti improvvisamente nemiche. Imbrigliare la passione con tessera, tv e manganello dà questi magnifici risultati dei quali ovviamente non si parla perché farebbe vedere quel lenzuolo in controluce e mostrerebbe che quella macchia si allarga invece che andarsene o che il bianco non è pulito, ma è in realtà una mano di vernice. 

Temi come il rapporto tra realtà, tifo e informazione riguardano direttamente il mondo dello sport, del tifo e di tutto quello che è l’anima di questo sito. Noi siamo tifosi, noi informiamo e lo facciamo stando a cavallo tra l’esaltazione naturale dei nostri colori e ciò che realmente accade in campo, durante la settimana dopo gli allenamenti, all’interno della società. Che sia piacevole oppure no, perché il tifoso vero è come l’amico: ti critica e ti manda a quell’altro paese se necessario perché ti ama, perché sei la sua passione, perché lo senti e riesce a farti fare chilometri la domenica e a provocare in te le azioni più inspiegabili. Non è facile mettere accanto il diritto di cronaca con il dovere di sostenere la squadra, ma penso che sia il modo più giusto e onesto di essere tifosi del Chieti. Per questo penso anche che la dirigenza abbia il diritto-dovere di dichiarare i propri obiettivi accanto a quelli di creare entusiasmo nella piazza e chiamarla intorno a sé, anche nei momenti difficili, anche quando pensi di aver dimostrato tutto e di non dover dimostrare più niente, anche se pensi che ci vorrà tempo e forse non ne hai in mezzi, ma in quei mezzi devi confidare perché sono gli unici che hai.

Ricordo bene quando Alessandro Battisti raccontò del ruolo della passione nella sua vita di giocatore e professionale. Sostanzialmente sono d’accordo con lui perché anche io faccio un lavoro che mi piace molto e nel quale l’equilibrio tra la passione e la professionalità è la cosa più difficile, ma queste sono anche le tessere – sì, le tessere – di una vita vissuta con impegno, vivendo entrambe le dimensioni nel modo migliore. In questo equilibrio tra rispetto ed ottimismo sta l’onestà del tifoso come del dirigente nei confronti di se stessi, della piazza che vuole essere solo accesa di entusiasmo, di mister Vivarini e dei ragazzi che danno il massimo durante tutta la settimana per essere al massimo la domenica. È il giorno che tutti attendiamo, anche se non sappiamo come andrà a finire, ma di qualche morte dovremo pur morire! Non lasciamo che allora che “anche la speme abbandoni i sepolcri” perché è giusto conoscere i nostri limiti, è giusto voler vincere, è giusto tenere alti in ogni caso i nostri vessilli. Abbiamo cambiato giocatori, allenatori e anche dirigenti, abbiamo calcato il campo di Caldari e quello del Passo Cordone, ieri il San Paolo e oggi l’“E. Nanni” di Bellaria, ma alla fine una cosa non è mai cambiata: la nostra passione.


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